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A pranzo dal Sultano, Ristorante Duomo, Ibla, Ragusa.

Monumentale e stupefacente l’empirea verticalità che dal Duomo di Ibla si proietta alla tavola del Sultano.

Chef Ciccio Sultano.

Ti accoglie nel dedalo di camere contigue, a regalare esclusività ed intimità, nell’abbraccio materico del toni ocra, cobalto e adamantini, illuminati dagli affacci gelosi sui giardini segreti. Avrai il respiro delle gole dei monti iblei e il paesaggio più autentico di Sicilia.
Lino immacolato a tavola e una balza di damasco carta da zucchero, a memento che il mare non è poi così lontano.

Arriva la selezione di pani: non trovi assaggi dei gioielli iblei, la scaccia e il pane a pasta dura di semola aurea. Non si fanno ricordare le proposte di Lariano e simil-Castelvetrano.

Mare e terra dialogano senza soluzione di continuità, nella personale visione del patrimonio culturale, nei tributi alla cucina baronale e al barocco nella concettualità compositiva.
Non mancano citazioni che esaltano ingredienti del territorio ed eccellenze dal mondo, sapere e sapore all’unisono.

Chips briose di riso ti seducono, mentre arrivano ludiche antifone: una pralina di pesce spada affumicato e melone, oliva verde che cela un nocciolo di fagiolo disidratato, vele di pane che custodiscono una perla gelata di tartufo ibleo di Palazzolo Acreide.

Accade che nell’irripetibilità di un boccone si consumi la perfezione:
in Volevo Essere Fritto il gambero rosso trova la croccantezza spiralizzata della cialda di cannolo e accenti salini di Ragusano e caviale Oscetra, infusione passionale nell’abbraccio etereo della ricotta, appena attraversata da una vena amaricante di erbette iblee;
l’ostrica, celata e composta a beccafico, regala al palato l’infrangersi delle onde sugli scogli, nella luminosa freschezza del limone, candito e in elisir.

Delude la trilogia di merluzzo: un esercizio algido di mantecato, filetto dalla pelle gelatinosa e crostini infusi e disidratati. Assaggi legati dall’anonimato della salsa. Un respiro anisato prevale nel mix segreto di spezie che vela il piatto. Sassolini di fagiolo Cosaruciaru di Scicli segnano il percorso che non arriva alla meta.

Conquista l’eloquenza dello spaghetto di trafila propria, la perfezione nel punto di cottura e nel calibro, che si lega indissolubilmente all’emulsione di mandorla-basilico-menta.
Ogni assaggio è reso unico dall’iridescenza dei lapilli di mare a corollario: ricciola, seppia, gambero rosso e calamaro, sorprendentemente accentato dal limone. La complessità estiva e la freschezza del pomodoro chiudono un dipinto espressionista e dirompente.

Vale il viaggio il trancio di ricciola, sublimato dalla cottura: come una cotoletta alla palermitana, screziata dalla salsa all’imprescindibileLapsang Souchong.
La polvere di cappero orchestra rimandi salmastri, la dolcezza è affidata ai legumi freschi e ai ceci croccanti, preparano alla tridimensionalità della pralina di oliva nera infornata, ha un cuore fondente e dolceamaro di mandorla Romana che rimarrà indelebile al palato e nei desideri.

Il cambio di tovagliolo è preludio della sacra ritualità della pasticceria barocca siciliana.
Batista di lino per servire il piccolo cannolo dalla cialda perfetta, dialoga con l’estratto tiepido di fichidindia di San Cono e l’assoluto niveo di mandorla Pizzuta di Avola. Segue un trionfo di vizi&virtù, dolci corruzioni di armonia sensoriale.

Si avverte l’assenza in sala di Valerio Capriotti, di un dialogo costruttivo tra cucina e ospite, rimane inevaso il desiderio di approfondire scelte concettuali che non si palesano al palato.
Mancano slanci contemporanei nelle proposte al calice, ma non le sicurezze.
Dove si arriva con aspettative d’eccellenza è più facile scorgere le ombre, rimangono comunque confinate dalla consapevolezza che al Duomo di Ibla si tornerà, non solo in pellegrinaggio.

Ristorante Duomo, Ibla, Ragusa.

Chef Ciccio Sultano

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